
Perché l’innovazione è (soprattutto) importante al Sud Italia
L’innovazione è l’introduzione di nuove modalità di progettazione, produzione o vendita di beni e servizi. In altre parole, è la capacità di cambiare positivamente lo stato delle cose, rompere l’ordine stabilito per costruire qualcosa di nuovo e più efficace.
Uno degli elementi chiave per il successo di un’impresa è proprio l’innovazione, che si lega strettamente alla ricerca scientifica e alla conoscenza, diventando motore del progresso. È un fattore determinante per la crescita economica di un Paese, ma anche di una regione, un’area o una città.
Per questo, un imprenditore che voglia sopravvivere e crescere deve rinnovarsi continuamente, mettendo in discussione se stesso, la propria azienda, e cogliendo gli stimoli provenienti dal mercato e dall’ambiente esterno. Innovare significa adattarsi ai mutamenti, rispondere in modo nuovo ai bisogni dei clienti, senza mai perdere di vista il mercato.
Innovazione e impatto sociale: alcuni dati concreti
Numerosi studi dimostrano l’impatto concreto che l’innovazione aziendale ha sul contesto economico e sociale dei territori in cui viene sviluppata.
Prendiamo il caso di Torino: secondo IRES Piemonte (2022), tra il 2015 e il 2020 le imprese innovative hanno registrato:
- una crescita dell’occupazione del +13% (contro il +5% delle aziende non innovative),
- un salario medio lordo più alto del 17%,
- •una maggiore attrattività per i giovani e un calo della disoccupazione giovanile nelle aree più dinamiche.
- Lo studio del Joint Research Centre della Commissione Europea su 65 città (2021) ha mostrato che quelle con alta densità di imprese innovative (top 20%) hanno registrato:
- una riduzione delle disuguaglianze di reddito del 9%,
- una maggiore partecipazione civica,
- un impatto positivo su mobilità sostenibile e qualità ambientale.
- Quando entra in gioco l’università, l’effetto si amplifica. Il rapporto Assolombarda–PoliHub (2023) rivela che le startup deep tech incubate nel PoliHub hanno generato in 5 anni:
- oltre 2.500 nuovi posti di lavoro,
- più di 210 milioni di euro di investimenti privati raccolti,
- un ritorno fiscale di circa 2,3 volte gli incentivi pubblici erogati.
- E non è tutto: il quartiere Bovisa (Milano), sede di molte di queste startup, ha visto:
- un aumento del 35% dei servizi locali (co-working, scuole, trasporti),
- una riduzione dei NEET del 14%.
- Anche a livello internazionale troviamo esempi emblematici. A Lione, secondo l’OECD (2022), le imprese nate nell’ecosistema dell’Université de Lyon e dell’INSA hanno generato:
- oltre 1 miliardo di euro/anno di valore aggiunto,
- 18.000 nuovi posti di lavoro,
- un +12% nel tasso di imprenditorialità under 30.

Sud Italia: il bisogno urgente di innovare
Il Sud Italia ha oggi un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa. Secondo ISTAT (2023), a livello nazionale il 16,1% dei giovani tra 15 e 29 anni è NEET (Not in Education, Employment or Training). Ma nel Mezzogiorno questo dato supera il 25%, con picchi del 31,3% considerando la fascia 15-34 anni.
In altre parole, un giovane su quattro al Sud non lavora e non studia. Questo dovrebbe bastare a spiegare perché l’innovazione sia una priorità assoluta.
Abbiamo visto come la presenza di imprese innovative porti immediatamente:
•a una maggiore occupazione,
•a una riduzione delle disuguaglianze,
•a un rafforzamento della partecipazione civica e dell’identità territoriale,
•a miglioramenti ambientali e di mobilità,
•ad attrarre investimenti pubblici e privati.
E se l’innovazione viene guidata dalle università, l’impatto è ancora più forte: si crea un circolo virtuoso in cui la ricerca diventa impresa, le università aumentano il loro valore scientifico (VQR) e i dipartimenti possono ambire all’eccellenza. Si combatte anche lo spopolamento studentesco e si costruisce un legame solido tra accademia e territorio, capace di rispondere concretamente alle sfide del mondo del lavoro.
Serve visione, prima ancora che denaro
È facile dire “mancano i fondi”. Ma prima dei fondi serve una visione. Serve capire che l’innovazione parte dalla formazione, e che le università e le associazioni di categoria devono essere il motore di questo cambiamento.
I cambiamenti partono dal basso. In un mondo industriale in costante mutamento, dominato dall’intelligenza artificiale e da regole che cambiano rapidamente, il luogo fisico in cui si fa impresa non è più determinante.
La Silicon Valley non è il centro dell’innovazione perché in California ci sia un “frutto della conoscenza”, ma perché lì esiste una cultura dell’innovazione.
Anziché arrendersi prima ancora di cominciare, chiediamo alle nostre istituzioni di abbandonare vecchie logiche clientelari e diventare finalmente motore di un cambiamento culturale. Un cambiamento che parta dal sapere, dalla formazione, e dalla voglia di fare impresa.